Si entra in sala e lo spettacolo ha già una sua magia con gli attori che compaiono tra le poltrone e accolgono il pubblico, indirizzandolo verso la piccola platea allestita sul palco, in forma di ellisse, poi si chiude il sipario. Incipit in pop rap, con Edoardo Mario Capuano che interpreta un successo di Jovanotti, colonna sonora per una danza di cadute e abbracci. Michela Atzeni dà voce a un monologo in cui la frase cruciale è "Comunque auguri lo stesso". Una frase crudele che sottende ad altri mondi, riapre antiche ferite. La dice una madre a una figlia. Il pubblico poi entra in una sorta di flashback, fra frammenti di un' infanzia vissuta tra umiliazioni e ferite. E un destino a cui ci si vorrebbe sottrarre. Lo spettacolo è prodotto da Sardegna Teatro, che da tempo punta sulla valorizzazione della nuova drammaturgia made in Sardegna. E' costruito sulla storia di una ragazza poi diventata donna nel rapporto sofferto con la madre. È lei la voce narrante. Un primo assaggio da cui emergono già i temi forti della pièce, una prova d'attrice molto interessante di Michela Atzeni, una coreografia e una danza poetiche di Ornella D'Agostino che restituiscono da un lato il fascino dolente di una madre dura, forse per necessità e consuetudine e dall'altra il percorso di una figlia che vuole andare oltre quei pregiudizi per guardare la diversità con spirito accogliente. Un viaggio nella memoria davanti a un pubblico ammaliato dalla potenza evocativa di una drammaturgia che pone più di un interrogativo. "Non un testo che vuole insegnare qualcosa sulla disabilità, ma porre domande e provare a sciogliere i nodi di una corda carica di pregiudizi dolorosi - osserva l'autrice Paola Atzeni - in molti vedono la disabilità esclusivamente come un cappio, ma in realtà può essere un'altalena meravigliosa". E' quel che accade a teatro, in questo piccolo frammento d'utopia realizzata.
In collaborazione con:
Sardegna Teatro