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Brexit no deal o accordo in extremis, May da Juncker

Brexit no deal o accordo in extremis, May da Juncker

Presidente Commissione Ue pessimista. Addio Honda alimenta paure

20 febbraio 2019, 13:27

Redazione ANSA

ANSACheck

Theresa May e Jean Claude Juncker © ANSA/AP

Theresa May e Jean Claude Juncker © ANSA/AP
Theresa May e Jean Claude Juncker © ANSA/AP

L'ombra di un 'no deal' sempre più incombente da un lato, la scommessa su un gioco di prestigio in grado di far quadrare il cerchio all'ultimo minuto dall'altro: si gioca fra queste due sponde l'ennesima missione di Theresa May a Bruxelles annunciata dal portavoce di Jean-Claude Juncker.

Difficile immaginare ancora un faccia a faccia decisivo con il presidente della Commissione, a giudicare dall'incessante rimpiattino fra le parti e dal pessimismo espresso dallo stesso Juncker in queste ore a Stoccarda. Anche se, quanto meno a parole, la disponibilità a venirsi (parzialmente) incontro c'è. Di certo il tempo stringe.

Innanzi tutto poiché ormai manca poco più di un mese al 29 marzo, data messa nero su bianco dal Parlamento britannico per un'uscita dall'Unione che - salvo rinvii - scatterebbe automaticamente (e traumaticamente) anche in mancanza d'intese. E poi perché già la settimana prossima la premier Tory ha promesso di tornare a Westminster per sottoporsi a un nuovo voto, il 27 febbraio, che stavolta dovrebbe essere dirimente: un verdetto 'finale' sul risultato del supplemento negoziale avviato con l'Ue nel tentativo di spuntare qualche assicurazione tale da allontanare il meccanismo del backstop, la contestata clausola teorica di salvaguardia d'un confine post Brexit senza barriere fra Irlanda e Irlanda del Nord.

L'incontro preparatorio di lunedì fra il capo negoziatore europeo, Michel Barnier, e i ministri Stephen Barclay e Geoffrey Cox è stato "produttivo", a credere a Barclay. Ma svolte concrete non ne sono emerse, mentre il piano B più soft del leader dell'opposizione Jeremy Corbyn, al centro di colloqui bruxellesi paralleli giovedì 21, resta sullo sfondo, solo come ipotesi alternativa di riserva. Tanto più dopo la mini scissione subita da Corbyn nel Labour ad opera di 7 deputati dell'ala destra del partito favorevoli a un referendum bis, la cui futura 'terza forza' sembra poter attirare per il momento qualche altro laburista e forse un paio di dissidenti Tory pro Remain. A margine del consiglio Affari generali Ue, i rappresentanti di vari Paesi - dal ministro tedesco Michael Roth alla francese Nathalie Loiseau - hanno intanto ribadito il 'no' a riaprire l'accordo di divorzio raggiunto a novembre. Ma non senza tendere la mano a Londra, dopo la fallita ratifica di gennaio, sul testo allegato sulle relazioni future: sempre a patto che May mostri un realismo che al momento Roth non intravvede.

"L'Ue ha detto che il backstop ha carattere temporaneo, cerchiamo di capire come mettere per iscritto questo concetto in modo legalmente vincolante e accettabile per il nostro Parlamento", ha tuttavia replicato il viceministro britannico Martin Callanan, insistendo inoltre sulla determinazione del suo governo ad attuare il divorzio il 29 marzo e lasciando cadere per ora lo spiraglio offerto da Juncker sull'ok a un'eventuale richiesta di rinvio. "Una cesura brutale" del resto non conviene a nessuno, ha avvertito, a nome dell'Italia, Enzo Moavero Milanesi; malgrado tutti dicano di prepararsi al peggio e il ministro britannico brexiteer Michael Gove non esiti a minacciare apertamente nel caso "dazi" futuri a difesa dei prodotti alimentari dell'isola. Non conviene di sicuro all'economia d'oltremanica, come ammette uno dei colleghi di Gove più moderati e vicini alla City, il titolare delle Attività Produttive Greg Clark, parlando ai Comuni di una Brexit no deal come di "un colpo di maglio" sull'industria automobilistica, per esempio, alla luce della decisione appena confermata da Honda di chiudere per fine 2021 lo stabilimento inglese di Swindon e di lasciare a spasso 3.500 lavoratori: decisione che non può non risentire delle incognite attuali anche se da Tokyo il presidente della holding, Takahiro Hachigo, l'ha motivata evocando esclusivamente problemi di competitività sul mercato globale. Ma non conviene nemmeno all'allarmato mondo del business di vari Paesi europei esposti nell'interscambio con Londra: Germania in prima fila.

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