Tracce di virus A H5N1 dell'influenza
aviaria rilevate in alcuni campioni di latte pastorizzato di
mucche provenienti da allevamenti negli Stati Uniti interessati
dall'epidemia. La comunicazione è arrivata dalla Food and Drug
Administration (Fda), che ha sottolineato come non ci siano
elementi al momento per considerare il latte non sicuro e che
ulteriori studi e analisi verranno effettuati nei prossimi
giorni. Tuttavia, secondo virologi ed infettivologi, si tratta
di un fatto da non sottovalutare e che indica come il virus si
stia comunque muovendo tra specie diverse.
Al momento, precisa la Fda, non è possibile dire se si tratti
di frammenti di materiale genetico inattivo o di virus vivo: "Ad
oggi, non abbiamo visto nulla che possa cambiare la nostra
valutazione che l'approvvigionamento commerciale di latte è
sicuro", afferma l'Agenzia. Alcuni dei campioni raccolti hanno
indicato la presenza di virus dell'influenza aviaria ad alta
patogenicità utilizzando il test quantitativo della reazione a
catena della polimerasi (qPCR). Tuttavia, precisa ancora l'Fda,
un risultato positivo a questo esame "significa che nel campione
è stato rilevato il materiale genetico dell'agente patogeno, ma
ciò non significa che il campione contenga un agente patogeno
intatto e infettivo. Questo perché i test qPCR rilevano anche il
materiale genetico residuo di agenti patogeni uccisi dal calore,
come la pastorizzazione o altri trattamenti per la sicurezza
alimentare". Per questo l'Fda sta per condurre ulteriori test ed
i risultati di più studi saranno resi disponibili nei prossimi
giorni o settimane. Nessun allarmismo ma monitorare, è l'invito
degli esperti. Secondo Roberto Burioni, professore di
Microbiologia e Virologia all'Università Vita-Salute San
Raffaele, "niente allarmi, ma un segno che il virus aviario si
sta muovendo tra le specie, peraltro è il suo mestiere e non ci
stupisce. Però attenzione. Non è una notizia positiva - afferma
su X -. Ne parleremo". Un dato "da non sottovalutare" anche
secondo Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie
infettive dell'Ospedale Policlinico San Martino di Genova.
L'influenza aviaria, spiega all'ANSA, "potrebbe rappresentare
potenzialmente una minaccia pandemica se il virus si
trasformasse e divenisse trasmissibile da uomo a uomo. Il fatto
che gli Usa, dopo aver rilevato tracce di virus nel latte
pastorizzato di mucche, abbiano alzato il livello di attenzione
è un dato su cui riflettere e da non sottovalutare". Va
sottolineato, precisa, che "al momento il virus dell'aviaria non
si trasmette da uomo a uomo, ma dall'animale all'uomo attraverso
il contatto diretto, ad esempio attraverso contatto con fluidi
animali infetti. Quando il virus ha infettato l'uomo attraverso
l'animale ha dimostrato una mortalità sull'uomo pari al 50%,
dunque molto alta". Che tracce di virus siano state scoperte nel
latte pastorizzato, avverte, "non è una bella notizia, poichè il
processo di pastorizzazione dovrebbe in teoria portare
all'eliminazione di qualsiasi presenza di virus. Se le tracce di
virus rilevate nel latte fossero riconducibili a virus vivo, il
latte potrebbe diventare potenzialmente uno strumento di
contagio, ma andrebbe provato che il virus trasmesso con una
eventuale ingestione sia effettivamente in grado di determinare
l'infezione". E' quindi "evidente che la situazione va
monitorata". Ad oggi il passaggio per un contagio da uomo a uomo
"non è avvenuto, ma non possiamo escludere che possa avvenire in
futuro". Questo è il motivo per cui, conclude Bassetti,
"dobbiamo continuare a lavorare sul piano pandemico, la cui
approvazione non è ancora definitiva. Dobbiamo essere pronti".
Tra il 2003 e il 1 aprile 2024, l'Oms ha dichiarato di aver
registrato un totale di 889 casi umani di influenza aviaria in
23 paesi, inclusi 463 decessi, portando il tasso di mortalità al
52%. Attualmente i casi di trasmissione all'uomo sono comunque
molto rari. Milioni i volatili infettati e abbattuti nel mondo,
mentre il virus ha infettato anche alcuni mammiferi come le
mucche ed i visoni.
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