Una procedura nata per mettere
velocemente a disposizione dei pazienti farmaci potenzialmente
salvavita rischia di ottenere l'effetto contrario e consegnare
ai malati medicinali poco efficaci. È l'allarme che lancia
un'analisi condotta dalla rivista Nature.
L'articolo, pubblicato sul sito della rivista, ha
analizzato gli effetti delle approvazioni accelerate dei farmaci
da parte della Food and Drug Administration americana che, da
circa 30 anni, contempla la possibilità di immettere sul mercato
i medicinali sulla base di prove di efficacia non definitive.
L'idea alla base del programma è semplice: laddove vi sia un
bisogno clinico insoddisfatto e occorrerebbe aspettare molto
tempo per ottenere dati di efficacia definitivi su un medicinale
(per esempio la capacità di prolungare la sopravvivenza), è
possibile approvare il prodotto sulla base di indicatori che
verosimilmente indicano che il farmaco sta funzionando, per
esempio il fatto che un tumore abbia smesso di crescere. Nel
tempo l'azienda è tenuta a fornire dati più solidi.
Questa procedura è stata impiegata soprattuto per i farmaci
antitumorali e ha consentito di fornire a milioni di malati
medicinali in tempi più brevi. Tuttavia, denuncia l'articolo,
nel tempo è diventata oggetto di distorsioni. Spesso le
sperimentazioni che confermino l'efficacia tardano ad arrivare;
altre volte, quando i test smentiscono i primi dati e
sopraggiunge il ritiro del medicinale, è difficile cambiare la
pratica clinica. Inoltre, l'Fda americana è un modello per molte
agenzie di Paesi meno ricchi; così un'approvazione accelerata in
Usa produce un effetto a cascata nel mondo mentre ciò spesso non
avviene con la decisione di ritiro del farmaco.
Il risultato è che un numero elevatissimo di pazienti assume
farmaci la cui efficacia definitiva non è confermata o, peggio
già "noti per essere inefficaci", sottolinea l'articolo.
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